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“Silentium” a Quadalto

Il 1° dicembre è stata inaugurata, nell’antico lavatoio del nostro convento di Quadalto, a Palazzuolo sul Senio, la mostra “Silentium” allestita dalla fotografa Ilaria di Biagio, che lo scorso maggio ha trascorso una settimana in convento con le nostre suore. La fotografa ha condiviso con la comunità i diversi momenti della giornata, dagli appuntamenti spirituali ai vari momenti che scandiscono la vita rituale del luogo. Da questa settimana trascorsa con le suore sono nati gli scatti esposti nel suggestivo locale dell’antico lavatoio situato nel seminterrato del Santuario della Madonna della Neve.

La mostra è parte del progetto  “Silentium – meum loquitur tibi” ideato e sostenuto dalla Cooperativa di Comunità “La C.I.A.” per la promozione dell’arte e fotografia contemporanea e cofinanziato dalla Fondazione CR Firenze nell’ambito del bando arti visive.

Riportiamo qui di seguito l’intervista rilasciata dalla fotografa Ilaria di Biagio, alla quale abbiamo rivolto qualche domanda su questa esperienza:

1.Come è stata per te l’esperienza di vivere una settimana in convento? Cosa ti porti a casa e nel cuore?
Mi porto i ritmi di vita cadenzati da una routine e con questo, da una sicurezza verso cui spesso nel quotidiano sono incline a scappare. Mi porto la sensazione di vivere un luogo sacro, come se fosse casa. L’assenza di rumore, ovattato ancor più dalle spesse pareti del convento e dai fitti boschi tutt’intorno.
Torno a casa avendo capito più nel profondo il termine sorelle: una vita vissuta insieme, dalla colazione ai saluti notturni, non può che rendere familiari queste relazioni. Entrare all’alba dall’abside, seguendo il lungo corridoio che dalla mia camera portava direttamente in chiesa, accompagnata dal canto delle suore, mi emozionava ogni mattina ed è un’immagine che mi piace ricordare chiudendo gli occhi.

2. Che tipo di relazioni hai potuto intrecciare con le suore francescane Ancelle di Maria? C’è qualcosa che hai imparato dalla loro vita e che può aiutarti nella tua vita e nel tuo lavoro? Pensi di aver lasciato a loro qualche messaggio per la loro vita?
Sono stata accolta con grande disponibilità e generosità. Per entrambe le parti era qualcosa di nuovo, io non avevo mai vissuto per più giorni cosi a stretto contatto con una realtà simile e loro non avevano mai ospitato una persona che le seguisse cosi da vicino nel quotidiano.
Vivo in campagna, mi hanno quindi forse naturalmente attratto soprattutto gli aspetti legati al rapporto esterno/interno – il bellissimo giardino coi fiori di Suor Adriana, l’orto e le galline, regno più di Suor Elisa. La cura che viene messa in ogni cosa, il tempo che viene dedicato a ciascuna attività, senza fretta e con un’attenzione che non è più di questo mondo frenetico: questa delicatezza, legata all’osservazione ma anche ad una sana lentezza, sto cercando di farla un po’ anche mia. Mi hanno insegnato un senso di una vita più equilibrata, scandita da ritmi che seguono un tempo naturale, che asseconda molto di più l’equilibrio dato dal ritmo circadiano. Da questa esperienza mi diverte pensare che abbiano percepito che la fotografia può anche raccontare l’impalpabile. Penso a quando, giustamente interrogative, mi guardavano fotografare la polvere che si alzava pulendo una scala. Io stessa vedendomi da fuori sarei rimasta altrettanto divertita. Quella fotografia è diventata poi una delle principali del progetto, perché mi riporta alla dimensione di osservazione e lentezza di cui parlavo sopra.

3. Come nasce l’idea della mostra?
Il progetto, commissionato dalla Cooperativa di Comunità La C.I.A. di Palazzuolo Sul Senio, è stato reso possibile anche grazie al cofinanziamento della Fondazione CR Firenze, il cui bando prevedeva l’ideazione di una mostra. Nella scelta del luogo, lo sguardo è andato all’Antico Lavatoio del Santuario, tra l’altro restaurato da poco dalla stessa Fondazione. Allestire quindi la mostra “Silentium” nel luogo in cui è stato scattato è sembrato da subito a tutte (Giada, della C.I.A., sr Teresa e me) un perfetto coronamento dell’esperienza vissuta. Scorrendo le tante fotografie fatte durante la settimana e in qualche altra occasione in cui sono tornata nei mesi successivi, mi sono trovata però spaesata nel fare una selezione. Visto anche il luogo in cui si sarebbe fatta la mostra, tanto affascinante quanto complesso per una esposizione, ho sentito la necessità di proporre la curatela ad una professionista con cui avevo già collaborato, Claudia Paladini. Abbiamo poi sentito l’esigenza di stampare un libretto della mostra, anche ricollegandoci ai libretti messa, la cui grafica, insieme a quella delle locandine, è stata affidata a Gaia degli Esposti. I mesi prima della mostra sono stati ricchi di incontri, proposte con soluzioni e materiali specifiche per il luogo, sopralluoghi, prove stampa. Un entusiasmante ingranaggio che ha portato poi alla mostra, è il caso di dirlo, site-specific.

4. Che idea ti sei fatta del silenzio dopo i giorni in convento? Pensi sia un silenzio vuoto oppure in qualche modo “abitato” da una Parola, da una presenza?                                                                                                                                                            Si sente che le stanze, le mura del luogo, così come le persone che lo abitano, sono abituate al silenzio. Mi son fatta l’idea che sia un silenzio molto consapevole, mai imbarazzato. Nel “mondo fuori” non è spesso facile sostenere il silenzio con altri, forse per questa esigenza tutta contemporanea di colmare qualsiasi momento di possibile noia. A questo proposito, diverte e inquieta per la semplice verità quel che scriveva il filosofo Pascal nel ‘600: “la disgrazia degli uomini proviene dal non sapersene stare tranquilli in camera”.

5. Cosa ha da dire il silenzio al mondo e alla società di oggi? Cosa si trova “appartandosi” e vivendo momenti e spazi di solitudine?
Il silenzio chiede di andare dentro le cose, di starci, di lasciare che ogni istante abbia la sua grandezza. Penso che tanti scappino dal silenzio perché ormai viene spesso associato a stati di noia. Non siamo più abituati e non permettiamo più di annoiarci, di far placare i continui pensieri. Dall’altro lato mi sorprendo di come l’appartarsi stia diventando quasi uno status consumistico ed elitario e non una condizione normalissima, gratuita e necessaria dell’essere umano. Cito Beethoven, che ben sintetizza cosa si può trovare appartandosi”: “Quando siamo lasciati in balia del silenzio, i pensieri conquistano nuove vette.”

6. Hai citato il filosofo Louis Lavelle, il quale afferma che “il silenzio è un omaggio che la parola rende allo spirito”. Che valore ha per te il silenzio?

Per me il silenzio è sempre stato uno spazio necessario, a cui sono sicuramente più abituata e legata del suono-rumore. Mi stupisco sempre quando amici cittadini, quando li ospito, mi dicono che non hanno dormito benissimo perché c’era troppo silenzio. Sono una persona molto socievole, ma forse anche perché passo intere giornate da sola a casa in mezzo alle colline. Il contrasto silenzio/rumore di questa vita tra campagna e città mi rende possibile sopportare il caos urbano e viceversa mi fa apprezzare sempre di più il luogo appartato in cui vivo, facendomi porre molte domande sulla sostenibilità di una vita sempre in mezzo al cemento. Prediligo i suoni ed i silenzi dei posti, non potrei mai camminare né in natura né in città con le cuffie alle orecchie. In casa non ho quasi mai la musica accesa. Preferisco sentire la leggera nota di una forbice che pota a distanza, il vento che entra dal camino, il cane che gratta per entrare.
Quasi 100 anni fa Heidegger scrisse che “l’uomo preso dall’uso delle nuove tecnologie, sarebbe arrivato al punto di rinunciare alla libertà”. Vivere una settimana insieme alle suore del Santuario della Madonna della Neve mi ha fatto percepire ancor più quanto la nostra libertà sia contaminata da questo tempo del rumore. Rumore dei motori a scoppio, mediatico, digitale, rumore di una irrequietezza del vivere che ci accompagna dalla sveglia al sonno. Nei sette giorni tra gli intricati corridoi del convento, mi è sembrato di tornare ad un tempo in cui questo rumore non c’era, ad una vita essenziale in cui, come hai ricordato nella domanda, “il silenzio è un omaggio che la parola rende allo spirito”.

Carissima Ilaria, una sola parola: GRAZIE! Hai portato una ventata fresca e l’opportunità di rinnovare il dono che ci è dato! Dono del silenzio, dono della fraternità, dono della Presenza.