Testimonianze

La testimonianza di sr Angela

“Sulla tua Parola getterò le reti”. Come Pietro di fronte alla rete vuota, anche io ho scelto di fidarmi del Signore che mi ha chiamata e di mettere nelle sue mani tutta la mia vita, gioie e soprattutto dolori.

È una vocazione scoperta da adulta ma, in realtà, cresciuta con me fin da bambina insieme ad un sogno. Il sogno di un amore vero e gratuito, di amare e di essere amata, di cui spesso ho sentito la mancanza. Questo desiderio ha alimentato tutta la mia vita e ne è il filo condutture fino ad oggi e più mi sono trovata nella sofferenza, più è cresciuto e si è fortificato. Ho provato a realizzarlo con le mie forze cercando di dialogare, di vivere in comunione, di cambiare la realtà intorno a me. Ma, ogni tentativo cadeva nel nulla lasciandomi una sofferenza ancora più grande. Era come aver gettato le reti e non aver preso niente.  Il desiderio non realizzato lasciava in me un grande vuoto. Ma, non mi sono mai arresa. Anzi, quel senso di vuoto è sempre stato una spinta a trovare altre strade e un’altra strada ha cominciato ad aprirsi anche se non l’ho subito presa in considerazione.

Sui diciotto anni rimasi molto colpita da questa frase di S. Agostino: “Ecco tu eri dentro di me e io ero fuori e là ti cercavo”. Grazie a questa frase è cominciata a delinearsi in me l’idea di una possibile chiamata anche se non ne comprendevo il perché. Ma, un po’ per lo spavento e un po’ per la giovane età, decisi di lasciarla perdere con il proposito di prenderla in considerazione più avanti se si fosse ripresentata. Nel frattempo la mia è stata una vita normale, ma costantemente abitata da un senso di incompiutezza. Il desiderio d’amore era sempre là, irrealizzato e sempre più forte. Il lavoro, gli amici, gli impegni, la famiglia niente colmava il vuoto che era in me. Vicino ai trent’anni mi sono fidanzata. Ero contenta e sicura che il mio sogno si sarebbe finalmente realizzato.  Amare ed essere amata. Ma, per vari motivi quella storia è finita ed il desiderio era ancora lì. Più vivo e più forte che mai, come il vuoto interiore. Entrambi crescevano insieme ed entrambi mi hanno spinta a non arrendermi. Mi sentivo fallita e volevo riscattarmi. Ero sicura che un giorno quel sogno avrebbe preso forma. Ho sperimentato una profonda solitudine e desideravo che qualcuno mi venisse incontro. Con questo stato d’animo ho partecipato ad una missione popolare nella mia parrocchia e durante una catechesi ho capito che è Dio che va incontro all’uomo e non viceversa. È stata per me una nuova conoscenza che ha mi richiamato alla mente le parole di S. Agostino ascoltate tanti anni prima. Quella chiamata che allora avevo lasciato stare, in quel momento si è riaffacciata e quello era il tempo di prenderla in considerazione. Ormai ero convinta che dovevo percorrere la strada della consacrazione e che in quella strada avrei potuto sperimentare, toccare con mano l’amore vero, la comunione. Dovevo passare di lì per realizzare il mio desiderio. Il Signore mi si era fatto vicino ma, perché tutto si concretizzasse dovevo mettere nelle sue mani tutta la mia vita, offrirgliela. Su quell’ incontro dovevo gettare le mie reti e non è stato semplice. Ero consapevole di ciò che dovevo lasciare e soprattutto che non lo avrei più ritrovato. Ma, con tanti dubbi, incertezze, paure ed allo stesso tempo tanta gioia a trentacinque anni ho lasciato lavoro, amici,famiglia, impegni e sono partita. Ho iniziato questa nuova avventura con il Signore. Abbracciare la vita religiosa è stato un cammino molto difficile. Ho incontrato ostacoli, conflitti relazionali, incapacità, impotenza, solitudine, abbandono ma anche fiducia, pazienza, affetto, sostegno e desiderio di non arrendermi. Le mie reti erano ancora vuote ma sapevo che se mi fossi arresa non sarebbero mai diventate piene. Vivere il Vangelo e viverlo in comunità esige di mettersi continuamente e totalmente in gioco. San Francesco è maestro in questo e nella sua spiritualità vedo la concretezza della comunione fraterna, dell’amare e del sentirsi amati. Ho incontrato il Signore nella mia vita e la luce di quell’incontro mi ha permesso di andare avanti nei momenti di buio, in quelli più difficili. Così questi anni non sono stati solo fatica e dolore, ma anche scoperta. Scoperta di un amore che si dona totalmente, l’amore Crocifisso. Scoperta di una via che Lui stesso mi aperto passo dopo passo. Una strada che si è costruita sulle mie difficoltà e sui miei limiti. Obbedienza, povertà e castità vissuti nella comunità sono piano piano diventati quella via che giorno dopo giorno rende concreto l’amore ed attraverso la quale posso donarmi a Colui che totalmente si è donato a me per primo incarnandosi e offrendosi sulla croce.

Vivere con persone che hanno fatto la mia stessa scelta rende i voti più radicali e più fecondi, l’amore più vero, la vita più piena e le relazioni più semplici e vere.

La mia vocazione è nata nella sofferenza ed in essa è cresciuta. Il dono totale di me al Signore attraverso i voti e la vita fraterna l’hanno curata e trasformata nell’amore che ho sempre desiderato.

Ho gettato le mie reti vuote e continuerò a gettarle ogni giorno su quell’incontro perché giorno dopo giorno il Signore le renda piene e tra un mese confermerò questa mia scelta pronunciando il mio “si” al Signore per tutta la vita nella certezza che quest’amore non verrà mai meno.

La testimonianza di sr Lorenza

Fin dall’età di quattordici anni, sentivo una certa attrazione verso le cose del Signore. Posso dire che la famiglia è stata la mia prima chiesa domestica, in essa io e i miei sette fratelli ci siamo nutriti e abbeverati. Gli esempi cristiani dei miei genitori, e l’aver frequentato l’Azione Cattolica sono state la guida nel mio cammino iniziale di fede. Ma ciò che ha determinato la mia vocazione è stata la forte testimonianza delle suore che operavano nel mio paese. Erano le suore della Congregazione a cui appartengo. Esse erano animate da una infinita bontà, capacità di ascolto, capacità di confortare e di consigliare, e capacità di relazionarsi con ogni genere di persone soprattutto verso i più lontani della fede, trasmettendo pace, gioia e letizia. Questo carisma francescano di cui queste sorelle erano impregnate corrispondeva sempre di più alla mia struttura umana prima di tutto, e pian piano, alle mie aspirazioni più profonde. Gli anni di forrmazione sono stati ricchi e belli, mi hanno insegnato le cose fondamentali dal punto di vista umano, culturale e religioso.testimonianza_risultato_1

La mia formazione iniziale non era basata tanto sullo studio dei documenti della vita consacrata, oppure delle costituzioni della congregazione o l’approfondimento del carisma francescano, ma quanto sulle virtù, sull’aspetto ascetico, sulla vita di Cristo e dei suoi comportamenti imitando i suoi esempi. Fondamentale per la nostra formazione è stata la lettura della vita dei santi: santa Teresa del bambino Gesù, il santo curato D’Ars, san Giovanni Berchmans, san Luigi Gonzaga (questi due ultimi essendo novizi, ci erano presentati come modelli da imitare). La testimonianza di vita quotidiana delle sorelle era il maggior contributo che veniva offerta alla nostra formazione, con la cura della liturgia, lo stile sobrio essenziale nel cibo e nel vestiario e il lavoro manuale come sostentamento economico della comunità, unito all’impegno da parte della formatrice di arricchire la conoscenza nei vari ambiti culturali, artistici, sartoria, ricamo. Simpatica è stata l’esperienza fatta insieme ad una consorella di andare per le case di Firenze a chiedere l’elemosina per comprare i nuovi banchi per la chiesa.

Giunta alla prima Professione, mi è stato chiesto dai superiori in quale ambito di apostolato io mi sentivo più attratta ad operare, e manifestai così il desiderio di diventare infermiera per assistere i malati. Devo ringraziare i miei superiori che oltre all’impegno del lavoro mi hanno dato la possibilità di frequentare per tre anni il corso di teologia della vita consacrata; integrando così lavoro e studio. Un contributo importante sono stati gli esercizi spirituali, giornate di spiritualità e tante altre occasioni di approfondimento e di aggiornamento affinché la mia consacrazione fosse sempre ben motivata.

La Congregazione fino al 1982, operava in una struttura neuro psichiatrica; qui svolsi la mia attività per 23 anni, è stata una esperienza fortissima che mi ha plasmata. Gli ammalati sono stati i miei più grandi benefattori nel mio cammino di crescita umana e spirituale, perché stare con loro, aiutarli, ascoltarli, servirli, ha richiesto da parte mia una uscita quasi totale da me stessa; il tempo non era più mio, il riposo non era più mio, e le stesse difficoltà e sofferenze che inevitabilmente incontravo, confrontandole con le loro, si scioglievano come neve al sole.

Posso dire di aver molto amato i miei malati e ho sempre avuto la certezza e la costatazione oggettiva che spesso un rapporto disinteressato e attento verso di loro era sufficiente per dare loro una certa serenità e fiducia evitando molto spesso la somministrazione di psicofarmaci. Quale evangelizzazione era chiesta in questo particolare campo di malattia? L’amore, il dialogo, la tenerezza materna poiché la depressione e il senso di solitudine era il fattore principale della patologia. Lo stato di depressione era causato spesso da situazioni esterne. Quella corazza che noi “sani” ci andiamo costruendo nel tempo per difenderci, per immunizzarci dai colpi e dalle frustrazioni che la vita inevitabilmente procura, in questi pazienti tutto ciò viene in loro auto-assorbito con una certa crudezza procurando angoscia e depressione. Avevo vent’anni quando iniziai questa attività che si è protratta fino ai 45 anni, tranne un anno trascorso in una clinica di maternità e ortopedia ad Augusta di Siracusa.

Nel 1982 i superiori decisero di sospendere il nostro servizio nella clinica neuropsichiatrica perché di sette suore ben cinque erano ultra settantenni. Anche questa è stata una esperienza molto bella perché queste ultime avevano prestato servizio in questa clinica per molti anni, non era facile abbandonare tutto e trasferirsi nella casa dove vivevano le suore anziane e far parte di loro.

Il Signore, per chi a Lui si affida, fa cose meravigliose. Abbiamo accettato l’obbedienza serenamente; per me è stato un esempio molto forte perché è stata una esperienza di una vera comunione di fede. Il Signore ha fatto capire a ciascuna che è Lui il Tutto e di Lui dobbiamo fidarci. Se Egli è esigente è perché ci prepara sempre qualche cosa di più grande e sorprendente.

Nel frattempo, nella congregazione si è fatto strada il desiderio di una vita più conforme alle origini, e si è concretizzata nella richiesta fatta da una consorella: aprire una casa di preghiere con la finalità di vivere maggiormente l’aspetto contemplativo del nostro carisma, aspetto che agli inizi della Congregazione era molto marcato, e si è andato affievolendo con le opere.

Questo desiderio trovò facilmente risposta nel cuore della madre generale di quegli anni. Il Signore a me preparava la strada a questa novità. Mi fu chiesto dalla madre stessa se desideravo associarmi alla sorella per realizzare il piano che Dio aveva ispirato e che consisteva nell’apertura di una casa di preghiera. Risposi che anch’io sentivo forte questa dimensione. Sentivo che, se Dio prima mi aveva chiesto di vedere il suo volto attraverso il malato sofferente, ora mi chiedeva di contemplarlo nel mistero doloroso del crocifisso attraverso la spiritualità delle stimmate nei pressi del monte della Verna. “Chi sei Tu e chi sono io?” ecco l’interrogativo che esigeva una maggior conoscenza di Lui attraverso il mistero pasquale e una maggior conoscenza di me stessa: aspirare all’uomo nuovo e ad essere sempre più ad immagine del figlio di Dio. Questo è sempre stata la tensione prioritaria nei miei 20 anni trascorsi ai piedi della Verna.

Così insieme alla sorella ci prefiggemmo di vivere una vita dedicata prevalentemente alla preghiera personale e liturgica, alla lectio, al lavoro dei campi e al lavoro manuale delle icone e dedicandoci all’accoglienza di persone singole e gruppi, famiglie, e soprattutto ragazze per un discernimento e accompagnamento vocazionale. Queste condividevano con noi la nostra stessa vita di fraternità, preghiera e lavoro.

Il forte messaggio delle stimmate, della conformità di Francesco con il crocifisso e il contatto con la natura mi ha veramente rigenerata, e soprattutto mi ha confermato quanto dice Gesù nel Vangelo, “solo se il seme muore porta frutto”. Questa esperienza mi ha dato la chiave per entrare nel mistero pasquale. L.a fecondità delle piccole morti, il passaggio dall’uomo vecchio al nuovo implica rinnegamento di sé, dell’egoismo dagli attaccamenti alle cose ai luoghi e alle persone, dell’orgoglio di una supervalutazione di se stessi e tante altre dinamiche che non sono in sintonia con il decalogo delle Beatitudini.

“Gesù li chiamò perché stessero con Lui e li mandò … .“, anche a me il Signore ha chiesto di scendere a valle …, per annunciare il Signore e testimoniare ai fratelli quello che ha fatto nella mia vita, attraverso le missioni popolari, dal Trentino alla Calabria, dall’Emilia Romagna alla città di Roma, e varie marce francescane, iniziative aventi come finalità l’annuncio e la promozione vocazionale.

Nel 1998, l’obbedienza mi chiamò ad operare come responsabile di comunità in una parrocchia della Calabria (Bagnara Calabra), qui prestai il mio servizio, con gli ammalati, catechesi e lectio per adulti e come ministro straordinario della comunione, per circa sei anni.

È stata una bellissima esperienza fatta di donazione e di tanta solidarietà e benevolenza da parte della comunità parrocchiale.

Oggi sono a Roma in una piccola comunità di suore juniores che studiano nei vari Atenei di Roma.

Sr Lorenza Turri