Tra la fine di novembre e i primi di dicembre ho partecipato a due brevi missioni di pace, all’interno del nostro dipartimento e in un paesino gelido tutto l’anno, abitato per lo più da comunità indigene e l’altra, di due giorni, a Tumaco, sulla costa del Pacifico, ex porto navale per lo sbarco degli schiavi neri che i colonizzatori importavano dall’Africa per il lavoro duro, visto che gli indigeni autoctoni non erano considerati di braccia abbastanza forti…
Una storia infinita di vittime e carnefici, che assume tinte e nomi differenti a seconda delle epoche e che ho avuto la grazia di avvicinare non più solo attraverso i libri di storia (e geografia), ma entrando a far parte della loro vita.
La parte che mi competeva durante gli incontri era naturalmente il punto di vista della fede; cosi con la professoressa che ci sovvenzionava tutto, il parroco, e a Tumaco anche sr Marilin, ce ne siamo andati come fragili strumenti di riconciliazione e di pace fra gente segnata dalla violenza, la ingiustizia e una povertà quasi endemica. Il Signore e’ buono e confida abbastanza mi viene da dire…
I gruppi di Cumbal (il primo paesino visitato) erano gruppi di famiglie indigene che vivono all’interno più interno rispetto al centro del paese. Per raggiungere queste veredas è necessario una gip e stivali di gomma perchè con la pioggia copiosa tipica di questa parte del Paese ci si infanga fino all’ombelico. E li’ in un clima di preghiera di fronte alla Vergine di
Fatima, abbiamo ascoltato, asciugato lacrime, balbettato qualcosa e condiviso un sobrio pranzo intorno a un focolare acceso che contribuiva a riscaldare il cuore.
Tumaco e’ stato diverso, altro clima (30 gradi), altro contesto. Popolazione al 90% di discendenza africana, dopo 6 ore di viaggio da Pasto sembrerebbe di arrivare in Africa. Anche qui, incontro con vittime (quando dico vittime intendo persone alle quali hanno sequestrato, ucciso figli, padri, nipoti, fratelli; persone alle quali hanno rubato anche il poco che avevano, fino a spodestarli della stessa casa, a questo aggiungi il clima di terrore a cui erano abituati vedendo sparatorie e gente armata circolare indisturbata da tutte le parti).
E che meraviglia in mezzo a tanta pena, leggere negli occhi di questi fratelli il desiderio sempre vivo di una vita in pace e sentire dalle loro labbra che non c’è pace senza riconciliazione e non si incontra riconciliazione se non in Dio che ha creato ogni uomo, la vittima come il carnefice e qui entrava la mia piccola riflessione alla luce di Genesi 4 , Caino e Abele, entrambi usciti dalle mani di Dio e che costituiscono il primo omicida e la prima vittima della storia umana.
La sintesi ultima di tutto questo e’ stato riflettere sul fatto che in Dio il cosiddetto buono e cattivo si ritrovano dallo stesso punto da cui sono partiti: figli di Dio e fratelli, e Dio che resta sempre padre fedele e misericordioso dalla domanda “dov’è tuo fratello?”, all’affermazione: “però nessuno tocchi Caino”.
E il vedere i volti luminosi di questi fratelli cosi provati mi ha fatto nascere una riflessione: la luce che si irradia da Gesù squarcia le tenebre del male e della miseria umana e davvero in Gesù ci ritroviamo tutti quanti, bianchi e neri, vittime e carnefici come siamo un po’ tutti, coscienti o meno.
Siamo figli di Dio e fratelli assetati di bene, di riconciliazione e di pace.